"[...] in montagna diventava felice, di una felicità silenziosa e contagiosa, come una luce che si accenda. Suscitava in me una comunione nuova con la terra e il cielo, in cui confluivano il mio bisogno di libertà, la pienezza delle forze, e la fame di capire le cose che mi avevano spinto alla chimica. Uscivamo all’aurora, strofinandoci gli occhi, dalla portina del bivacco Martinotti, ed ecco tutto intorno, appena toccate dal sole, le montagne candide e brune, nuove come create nella notte appena svanita, e insieme innumerabilmente antiche. Erano un’isola, un altrove."
"Ferro" da Il Sistema periodico - Primo Levi
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Il singolare caso di Forcella Laghet
“Le scrivo per sottoporre alla sua attenzione il caso di una morfologia, che mi pare interessante…”. Questo l’incipit della lettera che è giunta ad un noto geomorfologo docente dell’Ateneo di Padova. E’ uno studioso molto stimato e conosciuto per la sua cortesia e disponibilità. “… insomma incuriosito da quell’articolo uscito sul giornale online “il Dolomiti” a cura del “L’Altra Montagna“ e firmato da Giovanni Baccolo sono andato a forcella Laghet per osservare e fotografare questa forma così particolare. Ho scattato una serie di foto sferiche che poi ho pubblicato sul web, sul mio sito, per poterle condividerle…”

“dalla forcella sono sceso in Val di Tasca e poi risalito al passo delle Cirele per andare in cima Cadine, dall’altra parte della valle, e poter fotografare la valle di Tasca di infilata da Nord. La cosa certo curiosa è che …”

Una serie di fortunate coincidenze nell’arco di alcune settimane mi hanno dato l’occasione di incontrare alcuni geologi, glaciologi e geomorfologi che conoscono bene le Dolomiti trentine (R. Tomasoni e C. Casarotto del MUSE, R. Seppi e E. Scognamiglio dell’Università di Pavia, M. Zambotto, G. Zampedri, A. Viganò del servizio geologico della PAT, A. Carton e A. Bondesan dell’Università di Padova la mia alma mater, Cristian Ferrari presidente della SAT e per lungo tempo a capo della commissione glaciologica) come c’era da aspettarsi tutti erano già in qualche modo al corrente della strana morfologia alla “forcella Laghet”, c’è interesse per quella depressione piena d’acqua, queste le ragioni che la rendono piuttosto interessante:
– La formazione del ristagno non è un evento recente, il “laghetto” (o qualcosa di analogo) c’è da parecchio tempo: l’esistenza del toponimo “Forcella Laghet” suggerisce che una qualche depressione in cui si accumula acqua ferma è li da molto tempo; “… così sono andato ad indagare lo si individua con facilità sulle ortofoto terraitaly del 2000, c’è anche un analogo sulle ortofoto del 1973 pubblicate sul webgis della provincia TN“
– un altro aspetto è legato alla topografia del luogo: il laghetto è praticamente al passo in posizione alta, molto vicino alla forcella
– un altro ancora alla forma della depressione stessa “…è di fatto in una zona rilevata, ed ha una forma quasi perfettamente circolare”.
– ma la cosa più interessante ha a che fare con la litologia della zona, “siamo in un ambiente dolomitico, carbonatico, carsico, su ghiaie e materiali del tutto incoerenti, tutte cose che generalmente rendono il substrato molto permeabile e non si conciliano affatto con un’ampia zona in cui il liquido non drena”. “Insomma quel laghetto è li da troppo tempo, e non è dove dovrebbe stare.”
“Credo che un livello impermeabile si possa avere solo se c’è un layer di permafrost con un livello ghiacciato e continuo sottostante a quello dello specchio d’acqua, magari il meccanismo della morfogenesi è noto anche altrove ma io non ho mai visto una forma così esemplare e molto grande…”

La risposta del prof. A. Carton dell’Università di Padova non si fa attendere:
Per me è un “cratere termo carsico” o più generalmente una morfologia da ghiaccio morto.
Il punto in cui è avvenuto il fenomeno è più o meno al contatto tra l’estremità sud occidentale di una nivomorena o più probabilmente di un argine morenico e falde detritiche. I tre o più cordoni che si intravedono sono stati cartografati nella carta geomorfologica del S. Pellegrino (link) generalmente come nivomorene alimentate da un nevaio/glacionevato che giaceva sul versante subito ad est dei tre cordoni a sua volta rivolto verso NW. Che qui ci fosse stato un nevaio o glacionevato è presumibile anche dal fatto che su questo versante (versante occidentale delle Punte di Fuchiade – 2860 m; Sas da la Tascia) non ci sono coni detritici ben espressi e sviluppati, che invece si vedono bene sul versante opposto. Presumo quindi che i due versanti che individuano forcella e relativa vallecola abbiano avuto un’evoluzione recente diversa.
Il toponimo di Forcella del Laghet, non è di recente istituzione e credo non sia legato alla situazione che si è venuta a formare recentemente, ma a qualcosa di più vecchio. E’ interessante consultare la bellissima ed estremamente precisa carta 1:25.000 del 1905 (Deutscher und Oesterreichischer .Alpen Verein). Appare già il toponimo “Forcella del Laghet” e poi si vede cartografato un piccolo specchio d’acqua che mi pare un po’ allungato (non circolare) forse poco più a nord dell’attuale laghetto e, data la scala della carta, anche di dimensioni maggiori. Non mi sembra sia lo stesso di adesso. Quello sulla carta del D.u.Oe.A.V. potrebbe essere stato racchiuso nella debole depressione allungata che si è venuta a formare tra il piede dei coni detritici e uno degli argini (forse l’argine più occidentale). Dal lidar 2014 (Portale cartografico PAT) sembra di vedere una stretta ed allungata zona a fondo piatto (potrebbe forse essere la sede del laghetto rappresentato sulla carta del 1905?) sbarrata dal cono più meridionale. Nella foto sferica si intravede un’altra possibilità: che il lago rappresentato sulla carta fosse ospitato nella zona in cui ci sono alcune piccole ellissi detritiche di colore rossastro.

Sulla carta del D.u.Oe.A.V. si vedono altre forcelle ad est e ovest della forcella del Laghet presentare esigui sottili lembi di ghiaccio a scavalco tra un versante e l’altro (sono rappresentati con isoipse azzurre all’interno delle forcelle).
E’ molto strano che si sia generato un ristagno d’acqua (laghetto) già presente nel 1905 in una depressione scolpita in detriti (conoidi e argini) e quindi molto permeabile. L’unica spiegazione è che sotto ci sia stato (e ci sia ancora in parte), un livello/zona a permafrost o zolla di ghiaccio che funge/eva da livello impermeabile. L’eventuale massa di ghiaccio sepolto avrebbe dovuto estendersi anche verso sud fino in corrispondenza dell’areale ove adesso si è generato il vasto cratere, che però già incominciava a manifestarsi nelle varie immagini telerilevate degli anni passati. Se pensiamo ad un generale degrado del livello impermeabile, rimane non del tutto chiaro il fatto che la forma che si è generata sia circolare. Possiamo forse supporre che qui ci fosse stato un grosso blocco di ghiaccio isolato dal resto (o un’isola di permafrost), alla cui totale fusione il detrito è collassato andando ad occupare il suo spazio? Oppure possiamo ipotizzare un livello unico di permafrost/ghiaccio che ha subito una fusione accelerata in un areale molto ristretto dovuta a particolare circolazione idrica?
Sarebbe Il caso di fare un po’ di analisi geofisiche!!!

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